Si è tenuta, nel Salone “Luigi Ranieri” della Casa del Mutilato di Guerra di Reggio Calabria, la presentazione dell’edizione aggiornata del libro dello Storico Giuseppe Marcianò “OPERAZIONE BAYTOWN” che tratta, fra l’altro, dei bombardamenti subiti dalla Città nel 1943, dello sbarco e dell’ occupazione alleata a Reggio Calabria.
Reggio 1943 : Dai bombardamenti all’occupazione alleata
Negli ultimi mesi del 1942 l’Italia meridionale fu investita dalle terribili conseguenze della guerra aerea. Infatti, con l’avanzata dell’Ottava Armata di Montgomery dopo la vittoria di El Alamein, le basi da cui decollavano i bombardieri della RAF e dell’USAAF divennero sempre più vicine alla penisola italiana. Le prime città a essere investite dall’offensiva aerea alleata furono nell’ordine Napoli, Messina, Palermo e Reggio Calabria dal cui porto partivano i rifornimenti per il fronte in Tunisia. Si preferiva bombardare i convogli all’interno dei porti di partenza, anziché in mare poiché essi erano in tal modo un bersaglio statico, facile da individuare. La prima grande incursione aerea su Reggio il 6 maggio 1943 ebbe questo scopo. Infatti, negli ultimi mesi in cui le truppe dell’Asse combatterono nella ridotta tunisina, Reggio era diventata una delle principali basi di rifornimento lungo la rotta della morte.
La popolazione fu colta di sorpresa, nonostante l’allarme e il lancio di manifestini di avvertimento. Ciò avvenne perché di solito i Liberators della IX Air Force, giunti sullo Stretto, si dirigevano verso il porto e la città di Messina. Questa volta invece il bersaglio era Reggio e in particolare il suo porto. Il “Times” di Londra scrisse che il 6 maggio, nel corso di “un fantastico (smashing) attacco aereo, erano state sganciate 250.000 libbre di bombe sul porto italiano di Reggio”. Ma le bombe non andarono a finire solo sugli obiettivi militari, il porto, la stazione ferroviaria, i depositi interrati di carburante ma anche nella parte meridionale del centro cittadino (Piazza Carmine e Piazza S. Agostino) e nei Rioni Mussolini e S. Caterina. Le vittime furono centinaia ma è difficile avere cifre esatte a proposito di questa macabra contabilità, perché, a Reggio come a Napoli, diverse vittime non si poterono identificate per la pietosa condizione dei corpi. Il terrore della popolazione è ben descritto in queste righe di Raffaello Sardiello: due rioni erano stati tremendamente colpiti e tanta rovina in una piccola città destò il massimo terrore. Dalle zone più colpite venivano in frotte donne scarmigliate, uomini col volto della disperazione, trascinandosi dietro bambini stupiti e inorriditi. Una visione sconcertante offrivano alcune povere donne che pareva avessero perduto ogni pudore, coperte appena come avevano potuto e dimentiche di ogni cosa di fronte alla preoccupazione di mettersi in salvo (…). Al bombardamento del 6 maggio ne seguirono altri egualmente rovinosi. In particolare il 21 maggio fu centrato in pieno il cortile del brefotrofio, causando la caduta di uno dei muri perimetrali e la morte di 53 neonati, 14 nutrici e una suora, che avevano trovato riparo nello scantinato adibito a rifugio. Questa volta a Reggio giunsero gli inviati de “Il popolo d’Italia” e de “Il corriere della sera” che descrissero con ampi particolari il luttuoso avvenimento. Il regime, infatti, dopo aver minimizzato la portata dell’offensiva aerea alleata, aveva, tramite il famoso Minculpop, dato inizio a una campagna mediatica contro i gangsters dell’aria mediante l’invio dei migliori giornalisti presso le città più colpite dai bombardamenti dell’USAAF. Protagonisti dei bombardamenti diurni furono i giganteschi Liberator e i B-17, le famose fortezze volanti, che volavano sulle città del meridione senza caccia di scorta per realizzare il cosiddetto bombardamento di precisione, che tanto preciso non era. Con l’imperversare delle incursioni la città si svuotò sempre più poiché la popolazione cercava rifugio nelle campagne e nei villaggi dell’interno. La furia dei bombardamenti continuò ancora nella primavera e nell’estate del 1943 con obiettivi i Porti di Reggio e Villa S. Giovanni, attraverso cui s’imbarcavano i traghetti con i treni diretti in Sicilia. L’invasione dell’isola rappresentava, infatti, la prossima tappa delle operazioni di guerra, previste dai pianificatori alleati. Lo Stretto di Reggio-Messina era il collo della bottiglia, dove passavano i rinforzi, in uomini e mezzi, destinati alla difesa dell’isola. Raggiunta Messina, il 17 agosto, la tappa successiva era costituita dall’invasione della penisola.
Gli alleati decisero allora di compiere due sbarchi, uno in Calabria, denominato Operazione Baytown e l’altro – l’8 settembre – con sei divisioni nella piana di Salerno. Quest’ultimo doveva avvenire in coincidenza con l’annuncio della proclamazione dell’Armistizio fra Italia e Nazioni Unite, firmato in gran segreto il 3 settembre, proprio il giorno in cui gli Alleati sbarcarono a Reggio. Nella notte si era abbattuto sulla città un terribile bombardamento di 600 pezzi di artiglieria, schierati sulle alture soprastanti Messina. Alle ore 4.50, con appena venti minuti di ritardo sulla tabella di marcia, il comandante Nicholl, principale maestro di spiaggia, ordinò (“Go!”) ai LCA di spingersi sulle spiagge. Erano questi i più piccoli fra i mezzi da sbarco (Landing Craft) in dotazione alla piccola armata d’invasione. Gli uomini che da esso sbarcarono erano rimasti tutta la giornata del 2 settembre, nascosti nel letto di una fiumara vicino a Messina, dissetandosi con il succo dei limoni già maturi. Dietro di essi vi erano i Duck, autocarri che grazie ad alcuni accorgimenti erano stati messi in condizione di galleggiare e poi di trasportare all’interno del territorio invaso da uomini e mezzi. Ma quali reparti alleati sbarcarono a Reggio nel corso di quella calda mattinata di settembre? Si trattava del XIII Corpo dell’Ottava Armata, comandata dal leggendario Field Marshal Bernard Montgomery. Esso era composto di due divisioni di fanteria: la 1^ canadese e la 5^ inglese. I canadesi sbarcarono a Pentimele, alla periferia settentrionale della città, mentre gli inglesi occuparono le frazioni di Gallico e Catona. Non erano presenti reparti statunitensi, come ancor oggi credono alcuni.
La difesa della città e della costa era stata affidata, per intero, alle truppe italiane del Settore Calabro della Piazza Militare di Messina-Reggio, comandate dal generale Mario Carbone, che aveva posto il suo quartier generale a Ortì. La 29^ Panzer aveva lasciato sullo Stretto piccoli distaccamenti con funzioni di osservazione. Le truppe del Settore Calabro erano per la maggior parte costituite da reparti appartenenti alle divisioni costiere. Questa specie di Milizia territoriale, costituita in gran fretta, quando si profilò il pericolo di sbarchi nella penisola, aveva dimostrato scarso spirito combattivo, già in Sicilia. I canadesi, ben informati, piombarono alle loro spalle provocandone la resa dopo un breve combattimento nel Rione Santa Caterina, e sul ponte sul Torrente Annunziata in cui nostri soldati col fuoco delle armi automatiche cercarono inutilmente d’impedire ai carri armati nemici l’ingresso nella città. Alle 8,30 il nemico era ormai padrone della Città.
A Reggio, intanto, si era già insediato il Governo Militare Alleato con a capo il Ten. Lonmon. Alla fine della giornata fu inviato il primo rapporto con il quale, al punto 1, si comunicava che i soldati alleati erano stati bene accolti dalla sparuta popolazione rimasta in città. Si affermava, poi, che il primo problema da affrontare sarebbe stato quello dell’approvvigionamento dei viveri per nutrire l’intera popolazione che stava ritornando in città. Quanto alle vittime civili dei bombardamenti esse ammontavano, secondo le stime degli ufficiali di polizia, a non meno di 3000 persone, fra cui molti bambini. Particolare evidenza veniva data nel rapporto ai casi di saccheggio, che si giudicavano di limitata entità ed alla necessità di riarmo delle forze di Polizia e soprattutto dei Carabinieri per mantenere l’ordine pubblico. Nei punti nevralgici della città erano stati affissi i cinque proclami di Eisenhower, che costituivano in un certo senso la Costituzione del Governo Militare Alleato, mentre le bandiere della Gran Bretagna e degli Stati Uniti erano state issate sul balcone della Prefettura.
Si apriva così per la città un duro periodo di occupazione straniera, rischiarato appena da una certezza, ormai inequivocabile: la guerra, rappresentata dal terribile incubo dei bombardamenti, era ormai finita. Con il passare del tempo il ricordo di quei giorni di umiliazione e di speranza è ormai definitivamente svanito. Tanto è vero che l’unica via che ricordava quella giornata ha cambiato nome, cancellando così quest’ultimo ricordo di quell’avvenimento.
Giuseppe Marcianò