Il patriottismo in Italia con riferimenti al nazionalismo

20 Marzo 2015, pubblicato da

Intervento del Prof. Claudio Betti, componente la Direzione nazionale e Presidente regionale Anmig per la Toscana, all’assemblea di Trapani.

“Alcuni studiosi affermano che il Patriottismo civile è incompatibile con la semplice forma istituzionale monarchica.

Con la conseguenza “imbarazzante” che il Risorgimento si sarebbe svolto sotto il segno del nazionalismo monarchico e non sotto il segno del patriottismo repubblicano.

Tale differenza consiste nel fatto che per un repubblicano vera patria è solo quella repubblica in cui tutti possono vivere come cittadini liberi, uguali davanti alla legge e uguali per diritti politici; per un monarchico vera patria è anche la monarchia, dove un uomo ha per nascita, un diritto, quello di comandare, che gli altri non hanno. Il contrasto nasce dunque da un diversa interpretazione del significato dell’uguaglianza, l’amore per la Patria è, nelle repubbliche, amore dell’uguaglianza.

Il problema è che in Italia il patriottismo repubblicano ha condotto sempre vita stentata ai margini della cultura politica nazionale, dominata prima dal patriottismo monarchico, poi dal Nazionalismo.

Essere italiani significa poco e nulla. Mussolini era italiano come loro era Carlo Rosselli; ma cosa avevano in comune?

Parlavano la medesima lingua (con accenti diversi) prediligevano gli stessi cibi, avevano letto probabilmente Dante, Manzoni, Leopardi, ma avevano principi politici e morali inconciliabili.

Le differenze sono molto più importanti, delle affinità culturali.

Sia che la si intenda come memoria storica comune, sia che la si intenda come lingua, sia che la si intenda come cultura o costume, la nazione non serve a nulla per sostenere o rafforzare il patriottismo repubblicano.

Un principio unificante, può essere ed è certo stato la Costituzione repubblicana.

Ma il dire che la Costituzione riassume in sé la nazione significa riaffermare il principio fondamentale del patriottismo repubblicano, ovvero che il cuore della patria è la Costituzione.

Niente di male a chiamare “Nazione” ciò che per tanti e importanti scrittori politici del passato era il cuore della “Patria”. Il pensiero politico dell’ottocento è ricco di esempi di scrittori politici che usano il termine “Nazione”come sinonimo di repubblica.

Ritengo tuttavia che il cambiamento del nome abbia generato una confusione, evitabile, dovuta al fatto che mentre la patria, nel significato repubblicano è concetto essenzialmente, ma non esclusivamente politico, nazione è concetto eminentemente culturale, linguistico, religioso o etnico.
Invocare la nazione e l’identità nazionale a sostegno della patria, o in sostituzione della patria repubblicana, ed è questo il punto che mi preme mettere in evidenza, ci fa dimenticare che l’amore della patria è una passione squisitamente politica che può essere rafforzata, indebolita, o corrotta con mezzi politici come ammoniva Gaetano FILANGERI: la passione dell’amore della patria “può essere dominante ed ignota; essa può essere senza alcun vigore in un popolo, e può esser onnipotente in un altro. La sapienza delle leggi e del governo la introducono, la stabiliscono, la espandono, l’invigoriscono; i vizi dell’uno e delle altre la indeboliscono, l’escludono, la proscrivono”.

Nella stessa direzione vanno anche gli insegnamenti degli scrittori politici che indicavano nell’autogoverno comunale la radice più che profonda del vero (e migliore) patriottismo. “Il vero patriottismo è nel municipio. La molla, solida, attiva, reale e permanente del vero e sicuro patriottismo – Scriveva Romagnosi- sta nel MUNICIPIO, e oso dire che non può stare che in lui solo. Aggiungo di più: che in lui solo sta la base di sicurezza di tutto e l’ordinamento politico di uno stato civile”. Carlo Cattaneo identificava nei  comuni la libertà della nazione: “I comuni sono la nazione; sono la nazione nel più intimo asilo della sua libertà”.

I mezzi più efficaci e sicuri per far crescere e diffondersi quella particolare forma di patriottismo che è il patriottismo repubblicano – questa mi pare la lezione di saggezza che ci viene dagli scrittori politici del passato e che rischia di essere annacquata dai discorsi sull’identità nazionale. Sono dunque il buon governo e l’autogoverno.

Mentre la Nazione inacidisce il buon vino del patriottismo repubblicano, la dottrina molto in voga del patriottismo costituzionale lo annacqua troppo.

Dire che il patriottismo è lealtà nei confronti dei principi politici della libertà e dell’uguaglianza incorporati nelle costituzioni democratiche significa impoverire l’idea classica del patriottismo come amore caritatevole della Repubblica.

La costituzione è il nervo della repubblica ma non è tutta la Repubblica. La repubblica che è oggetto dell’amore caritatevole è anche modo di vivere come Machiavelli spiegava bene quando usava quale sinonimo di “repubblica” l’espressione “vivere libero”.

Il patriottismo nel pensiero repubblicano è da ritenersi un antidoto alle celebrazioni nazionalistiche dell’omogeneità culturale del popolo e un fattore di rafforzamento della virtù civile, ovvero l’amore della  libertà comune.

La democrazia ha certo bisogno di un sentimento condiviso di appartenenza, ma non di un sentimento di appartenenza all’unità culturale (o, peggio, religiosa o etnica), della nazione, bensì un sentimento di appartenenza alla repubblica.

Si intende: non una repubblica, ma una particolare repubblica, con la sua storia, le sue memorie, la sua cultura. Ha bisogno di patriottismo, per dirla in modo schematico, non di nazionalismo.

La differenza è di sostanza. Chi vuole irrobustire la nazione deve, se è coerente operare per rafforzare l’unità culturale del popolo; e questo comporta inevitabilmente ridurre la diversità culturale, o religiosa, o ideologica, con l’ovvia  conseguenza di incoraggiare il bigottismo e l’intolleranza, senza essere affatto certi di stimolare l’amore della libertà.

Chi vuole il patriottismo deve invece cercare di rafforzare l’attaccamento dei cittadini alla repubblica per mezzo del buon governo e la partecipazione alla vita politica, senza mettere a repentaglio il pluralismo culturale religioso e ideologico. C’è un importante differenza fra chi ama il bene comune, perché ama l’unità e l’omogeneità culturale della comunità nazionale cui appartiene, e chi ama il bene comune perché ama la libertà comune; fra chi vuole conservare la purezza della cultura e chi vuole che nessuno sia oppresso o discriminato.

Un altro problema che mi pare particolarmente vivo è quello dell’orgoglio nazionale. Gli italiani non ne hanno, ha scritto Norberto Bobbio, anche perché non hanno molto di cui essere fieri.

A prima vista la mancanza d’orgoglio nazionale sembra un bene, una benefica difesa contro il ridicolo e pericoloso sentimento di superiorità verso altri popoli. Ma è anche vero che chi non ha orgoglio della propria dignità difficilmente trova la forza e le motivazioni per esigere di essere trattato come cittadino.

Per rafforzare il giusto tipo di orgoglio non è necessario incoraggiare la convinzione che “Siamo più bravi degli altri”; basta la consapevolezza, più modesta, che c’è stata e c’è un Italia di cui si può essere fieri perché fatta da uomini e di donne che hanno lottato e si sono sacrificati per la libertà comune.

Il fatto che si tratti di una Italia minoritaria e quasi sempre sconfitta dall’Italia dei furbi e degli arroganti è una ragione in più per proclamare il valore.

Le sconfitte per cause giuste servono più delle memorie dei trionfi in quanto educano un sentimento di dignità immune da boria e vanagloria.

Per capire il significato storico del linguaggio del nazionalismo bisogna partire dal patriottismo, e pensare in termini di due linguaggi, non di uno solo che si sviluppa e si trasforma nel corso dei secoli.

Oltre ad essere storicamente insostenibile, la confusione fra patriottismo e nazionalismo non consente di vedere che, se inteso correttamente, il linguaggio del patriottismo repubblicano può funzionare come un valido antidoto al nazionalismo.

Come quello del nazionalismo, il linguaggio del patriottismo e imminentemente un linguaggio retorico che mira a suscitare, rafforzare e orientare le passioni di un popolo, non cerca il consenso razionale di agenti impersonali: vuole rafforzare una passione – l’amore della libertà comune – che è tanto particolarista quanto l’amore o l’orgoglio per l’unità culturale o il destino comune di un popolo.

Il linguaggio del patriottismo opera sull’attaccamento che proviamo perché è simile a noi per trasformarlo in una forza che sostiene la libertà anziché fomentare l’aggressione o l’esclusione; non dice agli italiani o ai tedeschi che devono pensare e agire come cittadini  del mondo o amare una libertà e una giustizia anonime, ma che devono imparare ad essere la loro repubblica per poter vivere liberi secondo la loro cultura e la loro storia.

Il linguaggio del patriottismo permette di dire tutto questo usando immagini, memorie comuni e storie ricche di significati che danno all’ideale colori e calore.

Le storie e le immagini del patriottismo hanno una morale,  ma non offrano argomenti morali veri e propri che giustificano, perché, abbiamo il dovere di impegnarci a sostenere la libertà comune del nostro popolo. La risposta che i teorici repubblicani hanno dato a questo problema è nota: abbiamo il dovere di servire la nostra patria perché abbiamo con essa un debito; dobbiamo ad essa la nostra vita, la nostra cultura e soprattutto la nostra libertà!

Se vogliamo essere persone morali decenti dobbiamo dunque restituire quello che abbiamo ricevuto servendo il bene comune con tutte le nostre forze.

Si possono naturalmente compilare diverse liste, più o meno onerose, degli obblighi verso la patria. E tutte sono discutibili; nessuna di essa ha mai ottenuto, ne mai otterrà, il consenso di tutti. Questo non vuol dire che gli argomenti circa gli obblighi dell’individuo verso la patria siano irrilevanti  o vani.

Essi servano a definire i confini dell’obbligo e permettono di distinguere gli obblighi che dobbiamo accettare da quelli che dobbiamo respingere.

Se l’obbligo che dobbiamo verso la patria è l’obbligo quello di difendere la libertà comune i limiti dell’obbligo sono abbastanza precisi.

Essere patrioti in questo senso significa che dobbiamo lottare contro chiunque voglia imporre degli interessi particolari contro il bene comune, che dobbiamo imporci ad ogni forma di discriminazione e di esclusione; e significa al tempo stesso, che non abbiamo alcun obbligo da sostenere l’unità etnica, culturale, religiosa del nostro popolo e che non ci può essere chiesto di sostenere politiche di espansione e di conquista.

Mi è caro ricordare “L’amore della patria di fonda sulle radici della carità che pone non i beni privati prima dei beni comuni, ma i beni comuni prima dei beni privati, come dice Beato Agostino, spiegando le parole degli Apostoli sulla carità.  A ragione la virtù della carità precede tutte le altre virtù perché il merito di ogni virtù dipende da quello della carità. L’amor di patria merita dunque essere onorato al di sopra di tutte le altre virtù. E ammonisce dicendo che il vero amore non cerca il proprio interesse, ma il bene comune.

Ma l’idea di patriottismo basato sull’impegno per la libertà al di là delle barriere nazionali trovò il suo convinto assertore in Giuseppe Mazzini. Il suo patriottismo si fonda sugli ideali della repubblica, ma riconosce al tempo stesso il valore della nazione.
Riteneva che l’ideale repubblicano della patria poteva trovare nuovo vigore solo se legato ai valori culturali della nazione. Accoglieva la lezione dei nazionalisti tedeschi, ma le dava un nuovo significato collegandola, alla vecchia tradizione repubblicana.

E mentre apprezza l’enfasi dei tedeschi sullo spirito del popolo e sulla cultura nazionale, Mazzini trova le loro dottrine gravemente lacunose perché pur difendendo i valori della nazione trascurano quelli della patria, ovvero la repubblica.

Mazzini delinea le idee fondamentali del suo patriottismo nel saggio “Dell’amor patrio di Dante” scritto fra il 1826 e il 1827. Dante è descritto come l’esempio dell’ “affetto patrio ben concepito”; la sua vita e le sue opere possono “presentarsi con tutto fidanza a modello di coloro che san cos’è la patria e come essa vuol esser servita”.  Il vero amore per la patria è amore infinito, immune dal pregiudizio e ispirato da pensieri di pace e di unità.

In Mazzini il concetto di patria ha un significato democratico. Oppone la Patria del popolo, alla patria dei re e ne sottolinea che in una vera patria tutti i cittadini devono avere uguali diritti politici. Una patria che escluda i poveri o le donne o i neri viene meno ai suoi principi.

Ed aggiunge “La patria non è un territorio, il territorio non ne è che la base. La patria è l’idea che sorge su quello, è il pensiero d’amore, il senso di comunione che stringe in uno tutti  i figli di quel territorio.
Finché uno solo dei vostri fratelli non è rappresentato dal proprio voto nello sviluppo della vita nazionale – finché uno solo vegeta ineducato fra gli educati – finché uno solo, capace e voglioso di lavoro, langue per la mancanza di lavoro, nella miseria – voi non avrete la patria come dovreste avere la patria di tutti, la patria per tutti”.

Mazzini e Pisacane avevano visto bene. Sotto il giogo di principi e monarchi, la passione generosa del Patriottismo fatalmente degenera, e nell’Europa delle monarchi essa divenne infatti “gretto nazionalismo” politica della forza e dell’interesse, ragione di Stato.

Oggi ci domandiamo se l’Europa ha bisogno di patriottismo? Ma quale patriottismo?
C’è bisogno del tradizionale, affascinante, patriottismo repubblicano. Dove patriottismo è inteso come amore per la patria, amore per le persone, per i luoghi oltre che come volontà di servire. Non è amore per la terra, ma per il vivere libero che rifugge dal vivere servo.

Pietro Calamandrei nel 1940 affermava: la mia patria sono gli inglesi e i norvegesi che resistono sotto le bombe dei nazisti, Vittorio Foa dal carcere ricordava che la Patria è stato costruita dal nostro Risorgimento. Se ami la Patria tendi a rispettare la libertà di altri popoli e ti impegni a sostenere la loro libertà. Il fascismo non c’entra nulla con il concetto di patria. Il nazionalismo alimenta l’inimicizia e la lotta fra le nazioni.

Ebbene, ma perché orgogliosi della Bandiera,

tutte le bandiere sono dei simboli, simboli in cui i popoli si riconoscono, ma la nostra bandiera non è solo un simbolo, un oggetto utile a rappresentare l’Unità del Paese, è anche l’idea di una Paese nato da un sogno. E’ la traccia di un sogno.

Dietro il sangue, i moti, i personaggi, le date, noi italiani abbiamo una fortuna: a differenza di quanto è accaduto in Spagna, in Francia, in Germania, l’Unità d’Italia è stata un sogno, non un semplice progetto, non un patto tra nobili.

Nella testa di Mazzini, nelle lezioni di Pisacane, nel sogno di centinaia e migliaia di pensatori repubblicani, di unitaristi, l’Italia unita non è semplicemente l’unione di regioni geograficamente vicine, e nemmeno, com’è capitato in altri Paesi, un’intesa di aristocrazie o gruppi di potere.

Nella testa di quegli uomini, l’Unità d’Italia era la sola condizione per emancipare dall’ingiustizia, il popolo italiano, dopo tre secoli di dominazione straniera.

La strada non poteva che essere l’unità, ecco perché per loro quella bandiera diventò il simbolo della possibilità di emanciparsi dalla sofferenza, dalla miseria, dall’ingiustizia.

Questo era il loro sogno.

E’ evidente che la grande idiozia che stiamo ascoltando in questi anni, secondo la quale spaccare il Paese, sarebbe un modo per renderlo più forte, non è solo un discorso miope, è anche storicamente insostenibile.

Se guardiamo la cartina dell’Italia preunitaria, il Regno di Sardegna il Regno Sabaudo sarebbe una piccola cosa sotto la Francia. Sarebbe la periferica francese. E cos’altro il Lombardo-Veneto se non una periferia austriaca? E lo stato pontificio al centro? Uno stato simbolico. Senza l’unità d’Italia torneremmo ad essere anche oggi la periferia di qualcuno. La centralità l’unità del Paese avevano un’altra idealità, un altro progetto: “Diciamo noi, del nostro destino”.

Chi oggi pensa, di poterlo spaccare non fa che arretrare, indebolire, distruggere quello che era stato un grande sogno: la possibilità di disegnare un destino diverso, il sogno di poter vedere l’unione del Friuli e della Calabria in un’unica lingua, un unico sogno  in un’unica Patria.

Ma avviandosi alla conclusione voglio sottoporvi, un ulteriore mia riflessione, legata al valore che è rappresentato, dalla nostra Carta Costituzionale, ovvero la Costituzione Italiana quale insieme di leggi che, come diceva Piero Calamandrei sono correnti di pensiero e non carta morta. L’antidoto  di quello che oggi sta accadendo nel nostro Paese. Leggi tenute in vita dall’aria stessa che respiriamo, dalla speranza, dalla nostra felicità, se riusciamo ad averle e dalle inevitabili sofferenze. La costituzione recita che tutti gli uomini hanno pari dignità, che lo Stato deve rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana, che la Repubblica Italiana è fondata sul lavoro che è un diritto. Che ciascuno deve aspirare ad una vita libera e dignitosa e che in questo lo stato deve essere un sostegno.

Sono concetti luminosi, promesse su cui è fondato un Paese e che non si possono ritirare. Non devono essere compromesse perché se esiste che ne chiede conto significa che esiste chi considera quelle leggi le proprie leggi: Socrate nel carcere di Atene parla delle leggi, come di persone vive. Dice “Sono le nostre leggi che parlano”.

Ma l’Italia è vittima, di una maledizione secolare; qui da noi ancora non si è del tutto convinti che quelle contenute nella Costituzione siano le nostre leggi.

Da noi si guarda, ancora, allo stato e alla legalità con diffidenza, come se fossero un ostacolo alla realizzazione personale.

Difendere la Costituzione è invece, difendere qualcosa che è un vaccino e sogno, vaccino da ciò che non si permetterà più che accada di nuovo, sogno da realizzare attraverso un continuo progresso.

La nostra associazione ormai quasi centenaria ha avuto sin dalla sua nascita, come guida questi principi e questi valori, che poi sono andati a fissarsi nella Carta Costituzionale.

Oggi come in passato questi valori etico-morali sono la nostra guida, e noi lavoriamo per trasmetterli ai nostri giovani. Pace, solidarietà, giustizia sociale e accoglienza”.

Claudio Betti