L’Anmig di Melfi tra ricerche storiche e memoria condivisa
Rileggendo un vecchio diario del dottor Angelo Bozza, (1821/1903) medico, storiografo e sindaco di Barile nel periodo del brigantaggio, capitano della Guardia Nazionale, ai paragrafi 39 e 40 vi sono notizie dettagliate sull’eccidio di una ventina di Cavalleggeri di Saluzzo in Località Rendina, ove attualmente si trova una vecchia stazione ferroviaria FS chiusa, cadente ed abbandonata da tempo.
Nella stessa stazione, che fa parte del territorio del comune di Rapolla (PZ) vi è una grossa lapide in marmo, posta agli inizi del 900 con nomi, cognomi e località di provenienza dei Cavalleggeri tumulati nel Cimitero di Venosa (PZ).
Il Presidente della Sezione ANMIG di Melfi MICHELE PASTORE si sta adoperando per convincere l’attuale sindaco di Rapolla a portare la Lapide in un posto più consono prima che la stessa vada distrutta e si dimentichino quei giovani morti nel fiore degli anni.
Emilio Bozza
“…39^ Nel luglio 1862 mentre ritornavo da Rionero con alcuni amici, giunti sopra Barile vedemmo una caccia data dai cavalleggeri ungheresi ai briganti nelle serre dirimpetto alla contrada Cigliano. Parevano soli cavalli, senza cavalieri, che inseguivano dei pedoni fuggiaschi in varie direzioni. Sapemmo poi, appena giungemmo in paese, che i cavalleggeri ungheresi avevano sorpreso i briganti che mangiavano spensieratamente e che, appena se li videro sopra, si posero in dirotta fuga. Ne furono uccisi cinque e feriti altri che si salvarono nei canneti e nelle anfrattuosità del terreno, ben da essi conosciuto.
40^ La sera del 20 luglio 1863 uno dei cavalleggeri di Saluzzo che stanziavano in Venosa sotto gli ordini del luogotenente Borromeo, si salvò a stento in Barile senz’armi, lacero, trafelato ed in uno stato d’animo indescrivibile; appena si fu un poco rassicurato e rifocillato ci raccontò che la sua compagnia era stata distrutta ai piani della Rendina da gran numero di briganti delle bande Schiavone e Caruso, come poi sapemmo congiunte a quella di Teodoro Gioseffi di Barile, e che egli solo si era salvato per vero miracolo. Nella speranza almeno di salvare qualche ferito, riunii la Guardia Nazionale nel maggior numero che fu possibile e spedii un espresso al Maggiore Paoli onde chiedere un rinforzo di soldati, ma avendo questo ufficiale risposto che non aveva soldati a disposizione, fui obbligato a rinnovare l’invito, raccontando in breve il fatto in un secondo messaggio, e denotando la possibilità di salvare qualche infelice ferito. Si mosse allora il Maggiore personalmente con buon numero di soldati e muovemmo da Barile circa le due ore di notte verso il luogo del disastro. Giunti poco sopra il ponte di Toppo d’Avuzzo il maggiore ordinò che si facesse tappa in quel punto fino all’alba, per timore di qualche imboscata da parte dei briganti. Allora ci muovemmo tutti e giunti finalmente all’ingresso della rotabile che porta a Venosa, dopo un centinaio di passi, trovammo i primi cadaveri dei cavalleggeri dei quali numerammo ventidue fino a Sansanello ove fu trovato l’ultimo; tutti nel fiore dell’età intorno ai 20 anni, tutti belli che il cuore d’ognuno faceva sangue a vedere tanto strazio di gioventù ed il lutto di tante famiglie italiane causato da mala direzione ed insipienza di comando. Erano tutti feriti al petto, e pareva molto da vicino poiché i panni erano completamente bruciati dal colpo. Vestiti dei loro panni, ma tutti sbottonati e taluni con la camicia di fuori ed il ventre scoperto, che i briganti li avevano frugati fin sulla pelle. Giacevano tutti sul dorso, la maggior parte colle braccia distese in croce. Mentre noi eravamo sul luogo, uscì da un folto cespuglio un cavalleggero che vi si era nascosto e salvato Dio sa come, ed allora solo ne uscì quando vide i soldati e riconobbe il Maggiore. Diceva come era la terza volta che usciva salvo in scontri simili. Si fecero venire quattro carri, e proceduto al doloroso uffizio di caricarvi i morti andammo a Venosa ove nessuno poté tenere il ciglio asciutto a quello spettacolo, e misero conforto alle anime di quei valorosi si fecero le loro esequie col concorso di quasi tutti i cittadini accompagnandoli all’ultima dimora.”