L’artigliere Spinoso eroico pompiere
Per onorare la memoria di mio padre, Antonino Spinoso, scomparso a 68 anni, ho scelto, tra le tante, questa testimonianza, che si discosta un po’ dagli altri racconti di guerra dei protagonisti del secondo conflitto mondiale, proprio per lanciare un segnale alle nuove generazioni sul valore che i militari rivestono, anche in tempo di pace, nel fornire aiuto e sostegno a tutta la società civile. Desidero ricordare mio padre raccontando uno dei tanti episodi della sua vita militare che sono rimasti scolpiti nella mia memoria e che hanno contribuito, in maniera fondamentale, alla mia formazione di cittadino italiano che crede ancora al valore della Patria in cui vive.
Con inestinguibile affetto il figlio
Vito
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, il sergente maggiore Antonino Spinoso, impegnato con la compagnia di artiglieri di appartenenza sul “fronte slavo” (un segmento del secondo conflitto mondiale che meriterebbe una maggiore attenzione e conoscenza) si ritrovò a vivere quel momento di smarrimento e anche di confusione che interessò tutte le forze armate italiane.
Il comandante della compagnia radunò i suoi ufficiali, sottufficiali e militari di truppa, confidando loro di essere in attesa di ordini precisi, direttamente dal Governo, prefigurando già l’ipotesi di continuare la lotta su un doppio fronte, fronteggiare l’attacco orientale dei partigiani di Tito e contrastare l’inevitabile reazione degli ex alleati tedeschi. Tale impegno sarebbe stato affrontato, su rassicurazione del comandante, con l’attribuzione della qualifica di “Patriota” (qualifica riconosciuta anche a mio padre che gli valse due anni di campagna di guerra). Sul momento, tuttavia, in attesa dei suddetti ordini, il suggerimento, a tutti i militari, fu quello di trovare un momentaneo rifugio per consentire la riorganizzazione delle forze.
Mio padre, fermo nel suo sentimento di continuare a combatter per l’onore della Patria e la difesa del territorio della nazione italiana, decise, per quella fase di tempo, di recarsi a piedi a Trieste, dove conosceva una professoressa tedesca, di lingua madre, che lì insegnava.
A lei, Professoressa Pina Lutz, devo il ringraziamento che estendo, in queste pagine, per aver salvato mio padre dai rastrellamenti tedeschi che, sin da subito, colpirono i militari italiani.
La Professoressa Lutz fornì al Sergente maggiore Spinoso abiti civili e, per non destare sospetti, riuscì a farlo inserire nell’organico dei Vigili del Fuoco di Trieste.
In tale veste, pur essendo un artigliere, il neo-vigile del fuoco si prodigò, con massimo impegno, in tutte le emergenze che si presentavano e non furono poche, in considerazione dello stato d’assedio che viveva la Città di Trieste in quel periodo.
Ovviamente, il comandante dei Vigili del Fuoco cercava di limitare gli interventi di mio padre ai livelli più bassi degli edifici in fiamme, infatti gli interventi dell’epoca non prevedeva no certo meccanismi automatizzati (autoscala), bensì l’utilizzo di più scale che ogni singolo vigile ancorava alle proprie spalle, per innestarle una sull’altra, fino a raggiungere l’altezza necessaria per prestare soccorso alle persone ancora all’interno dell’abitazione.
Mio padre, si era sempre limitato, per ordine del comandante, a raggiungere soltanto quei livelli che consentivano l’innesto della seconda scala.
Un giorno, però, durante un’emergenza particolarmente impegnativa, che aveva visto il dispiegamento dell’intera squadra d’intervento, mio padre si trovò ad affrontare, da solo, un’ala dell’edificio in fiamme e mentre aveva già innestato la seconda scala sentì, distintamente, le urla di un bambino provenire dal piano superiore a quello dove si trovava; il momento fu realmente drammatico, in quanto, per raggiungere il bambino, occorreva l’innesto della terza scala, operazione mai effettuata e resa difficoltosa, ancor più, dalle raffiche di vento che imperversavano, ben note in quel territorio e che facevano ondeggiare già le due scale inserite.
La decisione doveva, comunque, essere presa in pochi secondi, prima che le fiamme si propagassero ulteriormente, fu in quell’istante che l’artigliere Antonino Spinoso si rese conto che il primo dovere di un militare è quello di difendere e salvare vite in pericolo, la terza scala fu innestata e nell’attimo successivo veniva raggiunto il bambino che, a mani protese, si lanciò, letteralmente, tra le braccia di mio padre che, assicuratolo sulle sue spalle, ormai libere, lo portò sano e salvo a terra per affidarlo ai suoi familiari, i quali senza dire nulla abbracciarono quel vigile del fuoco che aveva rischiato la vita per salvare quella del loro fanciullo.