Nandina e Torello
Questa è la storia della guerra vissuta da me, Ferdinanda Lupi, e soprattutto da mio marito, Torello Perini, che stette prigioniero e ammalato in Grecia per un lungo periodo.
Il paese in cui sono nata si chiama Ceppato, è un piccolo paese in collina nel comune di Casciana Terme (PI). Anche mio marito Torello era di lì, però ci siamo conosciuti dopo la guerra, nel 1946.
Torello dal 1933 entrò nell’arma dei Carabinieri. Questo lavoro gli diede grandi soddisfazioni. Fu trasferito spesso in diverse città. Ricordo il suo racconto di quando si trovava a Ravenna e ci fu una grande alluvione. Dovettero intervenire in molti per salvare la popolazione. Lui trovò una piccola barca e salvò molta gente. Così gli fu concesso un encomio solenne.
Nel 1939 scoppiò la guerra: io vivevo ancora con i miei genitori in una casa di campagna, Torello fu arruolato. Mi ricordo che tanti nostri conoscenti e parenti soldati andarono a combattere prima sul confine della Francia e dopo in Grecia, in Albania, in Russia. Pochi tornarono dalla guerra, mio marito fu tra quei pochi.
Torello, dopo 6 o 7 mesi dall’inizio della guerra, fu trasferito in Grecia dove i tedeschi lo fecero prigioniero. Lì era proprio un inferno, morivano di fame. Tutte le mattine passava il camion della spazzatura e prendeva i cadaveri. Vedendo la fine che tutti facevano, mio marito tentò di scappare. A Dio piacque e ce la fece, anche se gli sparano ma riuscì a rintanarsi in una fossa e a salvarsi. Da quel momento in poi fu come un cane randagio per le montagne greche, non trovava nulla da mangiare, solo sterco di ciuchi che conservava in un bidone e mangiava su su.
Una volta camminando di notte per la campagna vide un campo di cavoli: andò a coglierli e da lì ebbe inizio la sua fortuna. Infatti lo vide il contadino e gli chiese come mai si trovasse in quelle condizioni. Torello disse che era un prigioniero scappato. Il contadino, sentendolo parlare, capì che era italiano. Lo abbracciò e gli disse: «anche io sono italiano. Non posso portarti a casa mia perché i tedeschi ci ammazzerebbero tutti, però ti metto nel casotto del mio terreno e ci metto dentro tanta paglia in modo che tu possa rifugiarti lì».
La mattina il contadino gli portava latte e medicine, perché Torello si era ammalato di tubercolosi.
Se lo potessi rintracciare vorrei ringraziarlo ancora.
Con il tempo la malattia si aggravò, quindi decise di andare all’ospedale, dove però non lo ricevettero perché non aveva febbre. Torello non ce la faceva più e si sedette per terra davanti all’ospedale. Dopo un po’ di tempo passò da lì un infermiere che gli chiese che cosa ci facesse lì, mio marito disse: «guarda in che condizioni sono! Se sono ancora vivo è solo perché ho trovato un italiano che mi ha assistito!». Anche l’infermiere era italiano e lo fece ricoverare subito. Torello pianse e disse: «il mio angelo custode mi assiste».
Fu ricoverato diversi mesi finché un giorno arrivò la bella notizia che tutti i soldati italiani malati dovevano rimpatriare con la nave ospedaliera.
Così Torello tornò in Italia. A casa trovò la sua mamma vecchia e intorno tanta miseria.
L’Italia infatti era stata invasa dai tedeschi che venivano a rubare nelle case rame e oro, si portavano via anche le fedi. Rubavano anche maiali, mucche, polli e tutto quello che trovavano. Avevamo paura anche a causa dei bombardamenti, infatti venivano bombardate – oltre alle città – anche le campagne, piene di sfollati dalle città. Mi ricordo che in casa, nonostante fosse piccola, ospitammo più di 20 rifugiati. La sera e ogni volta che c’erano i bombardamenti andavamo tutti nei rifugi sotterranei. Sono stati 4 anni duri e lunghi.
In quegli anni mi capitò di lavorare in casa di una signora anziana, dovevo farle compagnia. Una mattina vennero alla porta due fascisti con le pistole puntate alla faccia. Mi dissero: «vogliamo i soldi». Io gli dissi che soldi non ne avevo e nemmno la signora anziana. Riconobbi uno dei due fascisti e gli ricordai che, se i suoi 4 figli erano ancora vivi, era grazie al mio babbo che gli mandava ogni giorno un fiasco di latte gratuito. Lui capì chi ero e buttò giù la pistola e se ne andarono. Avevo solo 18 anni.
Quando Torello rientrò dalla Grecia si fece curare da un bravissimo professore, di nome Lauschi, che gli disse «fai come ti dico io e vedrai che guarirai. Non ti preoccupare dei soldi perché io non voglio nulla».
Dato che era malato poteva permettersi soltanto qualche lavoretto leggero, necessario per comprarsi da mangiare. Dopo diversi anni il bravo professore lo guarì dalla sua brutta malattia. Nonostante questo non aveva le forze per lavorare molto e la pensione di guerrà arrivò 15 anni dopo.
La nostra vita anche dopo la guerra fu dura, anche se non ci siamo mai persi di coraggio. Quando non poteva lavorare lui io mi sono inventata qualsiasi lavoro pur di mantenere la famiglia e insieme ce l’abbiamo fatta. Io ho assistito tante volte Torello che era cagionevole di salute a causa della malattia che aveva preso in guerra. L’ho assistito fino all’ultimo giorno, quando nel 1998, all’età di 85 anni, mi ha lasciata.
Ancora oggi io, a 93 anni, non ho perso lo spirito combattivo che avevo da giovane e credo ancora nella possbilità di un mondo migliore per tutti.
Nandina