Antonio Flamini – campagna di Grecia 1940 – 41
La mia avventura di militare, densa poi di drammatici episodi, inizia con il normale servizio di leva presso il 9° Reggimento Bersaglieri di Tarvisio.
Richiamato alle armi, il 28 maggio 1940, venni assegnato al 2° Reggimento Bersaglieri Ciclisti di Roma dove il reparto apprese con profonda preoccupazione che l’Italia dichiarava guerra alla Francia ed al Regno Unito, nostri ex alleati nel precedente conflitto 1915/18.
Dopo breve addestramento in Roma venimmo trasferiti a Brindisi, destinazione Valona (Albania) per raggiungere la zona di guerra in territorio greco.
Il duce aveva deciso, contro il parere del suo stesso Stato Maggiore, di aggredire proditoriamente la nostra vicina e pacifica Grecia, tuonando con ripugnante retorica “spezzeremo le reni alla Grecia”.
Il reparto raggiunse la linea del fronte il 16 novembre 1940 nella zona di Krionero con l’obiettivo di avanzare in profondità ed occupare l’importante centro di Giannina.
Dopo lo sbarco a Valona ed il travagliato trasferimento in zona di guerra ci rendemmo subito conto che la facile avanzata che ci era stata vergognosamente propagandata era pura illusione, visto lo stato di impraticabilità delle strade locali, coperte di fango, e la nostra assoluta insufficienza sia di armamenti che di organizzazione.
I greci dimostrarono subito una grande volontà di battersi ed opposero, appoggiati da posizioni ben preparate e presidiate, una accanita resistenza; difendevano giustamente con coraggio la loro Patria.
La notte del 18 novembre, verso le 22, il mio battaglione ricevette l’ordine di espugnare un munito trincerone nemico situato circa trecento metri sopra la nostra linea.
Il Capitano Mario Fascetti mio comandante di compagnia, dopo averci rivolto parole di forte incitamento, ordinò di inastare le baionette in quanto l’azione prevedeva un rapido e risolutivo assalto all’arma bianca.
Ricevemmo inoltre l’ordine di togliere i piumetti dai nostri elmetti e di nasconderli sotto la giubba perché i greci detestavano i bersaglieri in quanto li ritenevano corpo scelto molto combattivo.
L’attacco fu violentissimo, come uscimmo di corsa dalla nostra trincea per giungere a rapido contatto col nemico, fummo dubito investiti da una violenta reazione di fucileria, mitragliatrici e mortai.
Appena giunsi a ridosso del caposaldo nemico fui colpito da una fucilata che penetrò poco sopra la clavicola destra, attraversò miracolosamente, senza ledere organi vitali, il polmone sinistro per poi uscire dal fianco sottostante; ricordo ancora con perfetta lucidità la vampa del proiettile che usciva dal fucile del soldato greco, lontano da me non più di tre/quattro metri.
Caddi subito all’indietro e sul momento non accusai forte dolore ma poco dopo fui nell’impossibilità di muovermi, perdevo molto sangue dalla bocca e fui assalito da una febbre violenta e sete insopportabile.
Così passai la notte del 18/19/11/1940 con al mio fianco il capitano Fascetti morto, poi decorato con Medaglia d’oro al valor militare alla memoria, ed altri miei compagni che avevano trovato purtroppo la medesima triste sorte.
Il mattino seguente soldati greci in ricognizione sul luogo della battaglia notarono un mio movimento, alzai con fatica un braccio in segno di soccorso e subito mi puntarono contro le armi, mi insultarono, mi percossero imprecando Mussolini “chiarata”, in italiano “cornuto”.
Il mio ferimento e la cattura decisero drammaticamente la mia militanza con l’amato 2° reggimento bersaglieri ciclisti, che fu poi protagonista di eroiche battaglie, per poi concludere la sua odissea, dopo l’8 settembre 1943, con la prigionia in Germania; ma questa è un’altra storia che merita la testimonianza di qualche protagonista ancora vivente.
Passato il primo brutto incontro con gli avversari, senza aver mai perso conoscenza, fui avviato a piedi, sorretto da due soldati greci, in quanto ero completamente sfinito e con la febbre altissima, ad un loro posto di medicazione lontano oltre un chilometro dal punto del mio ferimento.
Appena giunsi in quella piccola infermeria fui adagiato su un misero lettino per una prima sommaria medicazione, solo con tintura di iodio perché non avevano altri medicinali e fui spogliato dei miei indumenti coperti di sangue.
Il mio piumetto da bersagliere venne allora scoperto, accorse, udendo le grida degli infermieri, un capitano greco, che tra l’altro parlava bene l’italiano, il quale, coprendomi di insulti, estrasse la pistola e me la puntò alla fronte minacciando di uccidermi.
Fu un momento drammatico, il capitano era fuori di sé perché vedeva in me uno degli esecutori di un’ignobile aggressione, che sempre deprecai e tuttora condanno, ma alla quale purtroppo il dovere mi chiamò a partecipare.
Ero in una condizione di profonda prostrazione, ma pur non potendomi quasi muovere dal dolore, strinsi il mio caro piumetto con la mano destra sopra il mio petto, fissando il capitano negli occhi senza mai abbassare lo sguardo, quasi sfidandolo ad uccidermi. Ci guardammo intensamente per un tempo che non so quantificare.
L’avversario non osò strapparmi il piumetto dalla mano, avevo perso ogni senso di paura, anzi, la forte tensione emotiva esercitò quasi un certo sollievo sui miei lancinanti dolori. In quel momento, se avesse sparato, sarei morto serenamente, avevo vinto la mia piccola battaglia e la consapevolezza di aver compiuto il mio dovere mi fu di estremo conforto.
L’ufficiale greco, sempre imprecando contro Mussolini, ripose la pistola nella fondina e si allontanò, lasciandomi solo con i miei pensieri; la giovane sposa, i genitori, il reggimento lasciato con dolore, il campiello sulle verdi dolci colline marchigiane che era il mio piccolo paradiso, l’incerto destino che mi attendeva e gli atroci dolori che al momento mi tormentavano.
Il giorno successivo fui trasferito all’ospedale militare di Giannina e, poiché dopo una ventina di giorni le mie condizioni migliorarono, fui deportato in un campo di concentramento per prigionieri di guerra nell’isola di Creta, vigilato da soldati inglesi.
Il destino aveva deciso che non dovessi morire, infatti la mia guarigione fu quasi spontanea, avevo ricevuto in quel periodo solo modeste medicazioni con la solita tintura di iodio.
Anche nella nuova sede la guerra voleva la sua parte di pericolo e di morte.
Il campo di prigionia e la zona limitrofa furono oggetto, dopo alcuni giorni, di un violentissimo attacco aereo tedesco che fece gravissimi danni e morti ed io mi salvai ancora una volta perché scorsi, in quegli attimi terribili, una cavità sotto una grande pietra dove fortunatamente potei rannicchiarmi.
L’inverno sul fronte greco fu terribile, temperature di 20/30 gradi sotto zero, senza equipaggiamento adeguato, avemmo più di ventimila congelati e Mussolini, nel tepore del suo Palazzo Venezia, contornato da imboscati e da “pregiata” compagnia femminile, dichiarava vergognosamente: “i soldati muoiono sul fronte greco, meglio, resteranno i migliori, così finalmente gli italiani diverranno una razza guerriera”. Liberati dai soldati italiani e tedeschi che occuparono l’isola di Creta, unitamente a tutti i miei compagni di prigionia, finalmente ritrovammo il caro suolo della Patria; sbarco a Brindisi il 13/6/1941.
Dopo l’arrivo a Brindisi fummo trasferiti a Tuturano per una contumacia di venti giorni, finita la quale venimmo interrogati singolarmente per accertare i motivi della nostra prigionia. Per noi feriti si trattò di una semplice formalità mentre per gli altri fu una severa ed approfondita indagine sul come e dove fossero stati fatti prigionieri.
Successivamente fui destinato a Marsiglia; dopo un lungo periodo di ricoveri ospedalieri e licenze perché il mio fisico aveva bisogno di un adeguato recupero.
Di quella sede ricordo il rancio pasquale dell’anno 1943 con minestrone guarnito di vermi ed altre porcherie: da questo piccolo episodio si può capire quali fossero le condizioni del nostro esercito in quella guerra.
Dopo circa un mese, altro trasferimento al deposito del 3° Reggimento Bersaglieri di Milano dove rimasi fino all’8 settembre 1943 quando purtroppo l’Italia dovette dichiarare la resa e subire altri diciotto mesi di occupazione tedesca e di sofferenze.
Sono ormai prossimo ai 100 anni, che non avrei mai immaginato di poter raggiungere, lamia mente fortunatamente è ancora lucida e posso ricordare con orgoglio il mio passato di bersagliere, dimenticando le grandi sofferenze e i pericoli patiti per amore del io Paese e del Corpo dei bersaglieri, al quale credo di aver dato con coscienza, senza alcuna riserva, tutte le mie giovanili potenziali energie.
Non posso però tacere che ricevetti, sul piano umano, molto anche nel tempo di guerra, cioè la considerazione dei miei superiori, il mio capitano Fascetti e l’amico tenente Brunelli di Civitanova Marche restano incancellabili nella mia memoria così come l’affetto fraterno dei miei commilitoni.
Successivamente e tuttora sono stato e sono sempre gratificato, oltre i miei meriti, dall’affettuosa ed esemplare vicinanza degli amici bersaglieri della sezione di Fermo e della Presidenza regionale, che ringrazio con viva riconoscenza per avermi anche voluto onorare con un solenne attestato di “Bersagliere Benemerito”.
Un ulteriore particolare e grato ringraziamento debbo rivolgere, infine, al caro amico Pierluigi Mercuri, presidente della sezione di Fermo, che ha voluto gentilmente raccogliere e far conoscere queste mie memorie di guerra.
Bersagliere Antonio Flamini