“Memorie di un internato” di Giuliano Vitali
Giuliano Vitali, classe 1924, di Trento, uomo brioso dallo sguardo vivace, è uno dei testimoni dei campi di prigionia nazisti della Seconda Guerra Mondiale.
Internato dal settembre 1943 all’aprile 1945 nei campi di lavoro forzato Stammlager X di Bremerworde e 1269 di Groz Bostel ad Amburgo, Vitali si è recentemente raccontato in un libro dove ha raccolto i ricordi di questa terribile esperienza sotto il titolo di “Memorie di un internato”. Scorrendo le pagine del racconto si rimane colpiti dalle dolorose vicissitudini che lo hanno accompagnato, assieme a tanti altri soldati italiani, dal giorno dell’armistizio fino alla fine della guerra. Vitali, nei giorni vicini all’8 settembre si trovava a prestare servizio militare presso il Deposito Reggimento 232° Fanteria di Bolzano.
La mattina del 9 settembre 1943, dopo una notte di spari, un drappello di soldati SS preceduti da Carri armati tipo Tigre, entrano nel piazzale della Caserma disarmando il presidio e conducendo tutti i militari nel greto del fiume Talvera dove rimasero un paio di giorni.
L’11 settembre Vitali, assieme a tutti i soldati, viene trasferito alla stazione ferroviaria e caricato forzatamente su un treno, stipato all’inverosimile, destinazione Germania. Un viaggio allucinante, reso drammatico dalle condizioni igieniche impossibili, senza acqua e ristoro, eccetto qualche pezzo di pane buttato nella massa e qualche goccio d’acqua rubato da qualche provvidenziale fontanella faticosamente raggiunta nelle rare fermate.
Giunti a destinazione dopo 6 giorni di viaggio, viene condotto nel Campo di Stammlager X a Bremervorde e da qui inizia ufficialmente la sua odissea marchiata dal numero riportato su una targhetta appesa al collo (n.152.861) e dalla scritta riportata sulla giacca “lTALlEN MILITARI INTERNATI” sigla che significava privazione del titolo di prigioniero di guerra con i benefici concessi dalla Croce Rossa, internamento forzato e disumano che strappava anche il più piccolo brandello di dignità della persona umana. A Giuliano Vitali viene affidata la mansione di addetto alla pulizia delle latrine il cui contenuto doveva essere raccolto in bidoni, portato con l’ausilio di un carretto in prossimità di un laghetto composto esclusivamente dal putrido liquame e svuotato. E proprio in quel laghetto Vitali dovrà forzatamente trascorrere un intera notte per essersi rifiutato di essere reclutato nella neo costituita Repubblica di Salo:
“…vista la mia ostinazione a non cedere alla proposta dei gerarchi fascisti convenuti al Campo, il sottoscritto assieme at commilitone Alfredo Piazza di Trento oltre ad un certo numero di internati venimmo trascinati e spinti con colpi di calcio di fucile net laghetto di fogna nel quale scaricavo tutti i giorni le latrine. Ci lasciarono immersi nel nauseabondo liquido fino all’altezza delle ascelle lasciandoci tutta la notte. La mattina seguente ci fecero uscire. Fortunatamente il liquido era caldo
e non accusai nessuno malanno…”
Successivamente viene trasferito nel campo di Groz Bostel, cambiano per lui le mansioni diventando recuperante di materiale fra le macerie dei bombardamenti che si susseguivano costantemente sulla città di Amburgo. Il lavoro era piuttosto pesante soprattutto per le scarse energie dovute alla denutrizione. A fronte di una dura giornata al campo la razione alimentare quotidiana consisteva in brodaglia, qualche rapa, 200 grammi di pane, qualche grammo di margarina, qualche Patata.
Per sopravvivere era indispensabile aguzzare l’ingegno escogitando qualcosa per reperire un minimo di surplus alimentare rispetto al rancio. Diventava cosa normale il rovistare nei bidoni dell’immondizia alla ricerca di qualcosa di commestibile: scorze di patate, pezzetti di pane ammuffito…oppure la caccia ai corvi, ai ratti… Racconta: “…in una notte piovosa io con alcuni compagni tentammo l’uscita dal lager in cerca di cibo. Raggiunto il reticolato di filo spinato lo superammo strisciando carponi raggiungendo un campo di patate che si trovava vicino. Con foga mi avventai sulle piantine strappando il maggior numero possibile di patate, riempiendo uno zaino che mi ero portato appresso. La buona sorte volle che nessuno dei sorveglianti se ne accorse e riuscii a portare quel ben di Dio in baracca e lo nascosi sotto le assi del pavimento…purtroppo non altrettanta fortuna ebbero alcuni compagni che emulandoci vollero anch’essi tentare qualche giorno dopo. Stavolta la sentinella si accorse sparando all’impazzata sui fuggiaschi e uccidendo cinque persone. Analoga e crudele sorte ebbe, un mio compagno che tentò di recuperare qualche rapa in un campo. Fu sorpreso mentre stava rientrando al lager e ammazzato senza pietà; mi diressi verso di lui per prestargli soccorso ma inutilmente, era morto, nelle sue mani teneva ancora strette due rape semi-coperte di terra di campo…”.
Nella quotidianità di vita al campo le percosse e gli insulti erano la regola. Si iniziava dalla sveglia fatta con colpi di calcio di fucile, spintoni, insulti, proseguendo con l’allineamento nel piazzale per l’appello che poteva protrarsi anche diverse ore, sotto il sole, con il freddo o la pioggia. Frequenti erano i casi di broncopolmonite, tubercolosi ecc. che spesso degeneravano in patologie che portavano alla morte stanti le inesistenti cure mediche. Una delle punizioni più significative era la bagnatura con un getto d’acqua potente o l’immersione in acqua in buche profonde un metro e mezzo e che nella stagione più fredda potevano portare a nefaste conseguenze. Anche Vitali fu “annaffiato” per aver prestato soccorso ad un suo compagno che era stato punito in quel modo.
L’epilogo dell’internamento di Giuliano Vitali comincia una mattina di aprile del 1945 quando “alcuni soldati delle SS entrarono forsennatamente nelle baracche con urla e insulti spingendoci nel piazzale del campo dove successivamente ci caricarono su automezzi diretto verso un boschetto nella periferia di Amburgo (probabilmente era giunto l’ordine di portare fuori città tutti i prigionieri). Rimanemmo lì tutto il giorno. Alla sera tornarono le SS, fecero salire sui camion una metà dei prigionieri, trasferendoli chissà dove, ma intuimmo dai crepitii di mitragliatrice che si udivano in lontananza, che per quei poveracci non ci sarebbe più stato ritorno.
Io e l’altra metà dei commilitoni rimanemmo nel bosco. A notte inoltrata, con il mio inseparabile compagno Alfredo Piazza, riuscimmo a distoglierci dalla sorveglianza delle SS e darci alla fuga che si protrasse per diversi chilometri fino in prossimità di uno scalo ferroviario. da lì riuscimmo a salire su un convoglio che per fortuna si diresse verso Amburgo.
Giunti alla periferia della città scendemmo dal vagone e, trovato un tombino delle condotte fognarie, ci infilammo dentro rimanendo nascosti per qualche giorno finché, durante un’uscita alla ricerca di cibo, ci imbattemmo in un carro armato anglocanadese e venimmo a sapere che la guerra era finita: la Germania si era arresa, la nostra lotta per la sopravvivenza stava per concludersi e potevamo pensare alla strada del ritorno in Patria”.
Il treno bestiame che lo aveva condotto forzatamente assieme a tanti altri militari italiani in un campo di prigionia, questa volta lo avrebbe riportato in Patria, riconsegnato all’affetto dei propri cari.
I due anni di internamento avevano lasciato il segno: il peso si era ridotto a meno di 50 Kg contro i 75 della partenza e la tubercolosi lo costrinse ad altri due anni di cure in ospedali vari. Oltre a questo si aggiunse la beffa che gli internati in campi di lavoro coatto in germana non erano considerati prigionieri di guerra secondo la Convenzione di Ginevra ma internati, appunto, che in parole povere significava mancato riconoscimento di alcuni diritti. Nessun indennizzo, quindi, né da parte italiana né dalle autorità germaniche che avevano abusato di migliaia di uomini impiegandoli come forza lavoro nei campi di concentramento.
Nonostante tutto, Giuliano Vitali è ancora convinto di aver operato per una giusta causa a servizio della sua Nazione nella speranza che le sofferenze subite sarebbero un giorno servite per una nuova vita in un mondo migliore.
Nonostante l’età e le sofferenze subite è stato segretario dell’Anmig per molti anni ed ha fatto parte della Federazione Internati Militari di Trento, operando con discrezione e capacità in favore di vedove, invalidi ed ex internati, ha presenziato come Alfiere a molte commemorazioni di fatti legati alle vicende belliche. I suoi meriti sono stati riconosciuti con il titolo di cavaliere dal Presidente della Repubblica Ciampi.
Il suo desiderio più grande è sempre stato che la sua testimonianza potesse essere di aiuto alle nuove generazioni affinché, constatando le tragiche conseguenze della guerra, arrivino alla consapevolezza che solo il perseguimento della pace, mediante il rispetto reciproco, possa tenere a distanza i conflitti portatori di morte, devastazione e sofferenza.
Giuliano Vitali